Ho iniziato a esplorare l’universo Kagel nel 1994 quando sono entrato in contatto con lui per invitarlo a partecipare a L’Arte dell’Ascolto, il festival dedicato alla radio che si è svolto durante gli anni Novanta a Rimini. Quell’anno ho voluto dedicargli l’ “Audioritratto” presentando le sue opere radiofoniche, la maggior parte delle quali create per la WDR su invito di Klaus Schöning.
Repertorie porta come sottotitolo “Per almeno cinque attori o strumentisti”. Quest’opera “aperta” consiste in una partitura catalogo di 100 azioni singole che possono non solo essere ricombinate a discrezione della messa in scena, ma anche essere selezionate e talvolta eseguite in simultanea. Di fronte a questa libertà esecutiva, la regìa lavora per connettere tutti gli elementi dell’opera. Dalla scenografia disegnata su pannelli si dipanano i materiali che generano i costumi, le luci, i movimenti in scena, alcuni degli oggetti sonori e gli strumenti musicali impiegati. È così che un segno rosso, una linea, si prolunga nello spazio attraverso la luce. Tutto è separato, tutto è insieme. Le lettere dell’alfabeto ebraico che appaiono tra i disegni sono un richiamo sottile alle sue origini (nato a Buenos Aires in una famiglia ebrea ashkenazita fuggita dalla Russia negli anni Venti).
La mia intenzione è quella di creare un campo rizomatico a un “repertoire” fatto di un’infinita e sorprendente serie di oggetti e azioni visivi e sonori. Un gesamtkunstwerk. Sarebbe piaciuta a Kagel questa parola? ma sì, in fondo aveva proprio deciso di stabilirsi nel 1957 a Colonia dove ha trovato terreno fertile per realizzare le sue opere.
Nel disegnare la drammaturgia non ho potuto non pensare alla sua biografia. Una giovinezza porteña e la sua condizione di doppio esule: ebreo europeo a Buenos Aires e argentino a Colonia. Profugo permanente, profugo del pensiero certamente, mi appassionano le sue identità plurime. Il suo rifiuto di un’unica identità è un atto di resistenza e i personaggi in scena in Repertoire “deterritorializzano” e eccedono il paradigma di genere.
Kagel è caleidoscopico. Cresciuto nell’avanguardia cosmopolita – influenzata dal Bauhaus – della Buenos Aires degli anni Cinquanta, restauratore di film e cofondatore della Cinemateca Argentina, membro dell’avanguardia europea del dopoguerra che ha fuso serialismo con tecniche aleatorie a live electronics, sperimentatore che con le sue composizioni ispirate al Fluxus mette in questione i limiti non solo di musica e composizione ma di ciò che può essere considerato arte, autore di teatro sperimentale, film e opere multimediali per le quali il termine composizione non è strettamente connesso al territorio acustico ed è più legato a processi invece che al prodotto.
Come spesso accade nelle vite degli artisti, le opere tarde di Kagel sono sempre più connesse ai suoi inizi. È così che riemerge intensamente la relazione con le correnti estetiche degli anni Cinquanta a Buenos Aires, in particolare il legame con il suo maestro Jorge Luis Borges – anch’esso in parte ebreo e col quale studia al Colegio Libre de Estudios Superiores – e con Witold Gombrowicz.
Mi piace pensare a uno spettacolo come organismo interconnesso in maniera profonda. Tutti gli elementi concorrono al risultato finale e lavorare su un autore come Kagel non fa altro che enfatizzare questa necessità di “compresenze” paritarie tra immagine, suono, spazio, corpi, azioni e così via. In breve: il Teatro.
Roberto Paci Dalò