Roberto Paci Dalò – 1915 The Armenian Files

Fabrizio Zampighi
Sentireascoltare
11 Dicembre 2015

Roberto Paci Dalò è una personalità artistica trasversale. Musicista, artista visuale, regista teatrale, il Nostro vive da sempre in bilico tra dimensione uditiva e visiva, anche in termini di produzione musicale. Quando si parla delle pubblicazioni a suo nome, di solito non ci si limita a tirare in ballo la parola “disco”, perché i lavori di Dalò hanno più i crismi del progetto multimediale. Lo avevamo verificato con il precedente – e riuscito – Ye Shanghai e lo sottolinea anche 1915 The Armenian Files, al tempo stesso mostra, opera radiofonica (registrata a Vienna dal vivo presso Kunstradio), concerto multimediale e album.

Il concept del disco ruota attorno al genocidio armeno risalente al 1915 e operato dall’Impero Ottomano. Un tema che per sua natura libera un groviglio di emozioni e tematiche importanti perfettamente modulabili sull’ambient-elettronica di Dalò, lei stessa una spugna capace di assorbire elementi tra i più disparati. Non ultima, una tensione costruita su un clarinetto che sembra fare le veci di uno strumento etnico rubato a qualche paesaggio ancestrale lentissimo e disperso nella storia – passato e modernità si incontrano in un punto non ben precisato della linea del tempo – ma anche caldi bordoni sintetici posti sullo sfondo. C’è una grande emotività in brani come Sirel, eppure anche un’eleganza e una raffinatezza non comuni che lavorano su un approccio asciutto verso la materia sonora, una prospettiva che ha il tono rispettoso dell’osservatore appassionato. L’altra faccia della medaglia sono, ad esempio, una Grag che parla di pulsazioni elettroniche ben presenti (e inquietanti), certi Tangerine Dream periodo Zeit che sembrano fare capolino in Garmir, quando tracce come Arak invece s’impuntano su un’improvvisazione (sempre al clarinetto “trattato”) al tempo stesso descrittiva e intima.

Al disco hanno partecipato anche Julia Kent (violoncello), Boghos Levon Zekiyan (voce), Stefano Spada / Light Parade (beat design) e Fabrizio Modenese Palumbo (chitarra elettrica), e quanto si ascolta è l’ennesima conferma della sensibilità di un musicista poco appariscente nelle cronache mondane, ma di grandissima sostanza.