Paci Dalò tra i genocidi della Storia

Paolo Tarsi
il giornale della musica
1 Gennaio 2015

Ye Shanghai è una performance audio-video di Roberto Paci Dalò nata su invito di Massimo Torrigiani per SH Contemporary 2012 e prodotta da Davide Quadrio e Francesca Girelli (Arthub), ma è anche un film autonomo e un’installazione destinata a musei e gallerie. Il titolo, così come il materiale sonoro, trae spunto da una nota canzone cinese degli anni Trenta, “Le notti di Shanghai”, interpretata da Zhou Xuan (1918-1957), da cui si sviluppa tutta l’idea di questo lavoro. Il motivo scatenante del progetto è stata la scoperta del Ghetto di Shanghai, fulcro negli anni Trenta-Quaranta di un grande flusso migratorio di ebrei scappati dalla Germania e dall’Austria dopo la Notte dei cristalli, una vera e propria comunità nel cuore della città. Per svilupparlo Paci Dalò opera sul doppio binario sonoro-visivo, utilizzando questa canzone iconica dell’epoca e dilatandola attraverso frammenti elettroacustici, samples e campionamenti tratti dal brano originale, per evocare uno spazio sonoro in cui la grana delle voci utilizzate (in inglese, yiddish, cinese, tedesco) diviene materia pura su cui ampliare la ricchezza acustica del linguaggio. Decomposto e ricostruito, il motivo assume così una nuova texture in una nuova relazione tra epoche e luoghi, in un lavoro d’archivio che recupera materiali dimenticati e dove convivono periodi diversi. Una vera e propria macchina del tempo, che vede Paci Dalò interagire con il suo clarinetto basso con le voci dei venditori di strada, soundscapes antecedenti al 1949, in una registrazione realizzata dal vivo (il 13 gennaio 2013, per il programma Kunstradio alla Funkhaus di Vienna), disponibile ora in in cd, vinile e digital download. Abbiamo chiesto al compositore di raccontarci i suoi prossimi progetti. «Sto lavorando con Robert Lippok (To Ro-coco Rot) a un nuovo album che uscirà in primavera. Abbiamo scavato nelle pieghe del suono, scandagliandone le più recondite profondità usando microfoni e elettronica come veri e propri sonar, il risultato si muoverà su più livelli tra complessità dei materiali e godibilità dell’ascolto. Ma sto anche portando avanti una pratica di scuola radiofonica itinerante, leggera e virale, che si rimaterializza di volta in volta in contesti diversi. 1915 invece è il titolo di un progetto che esplorerà il dramma del genocidio armeno attraverso ricerche anche a Beirut e Istanbul. Il lavoro intende esaminare questo terribile evento che ha anticipato la ben più conosciuta Shoah e si inscrive, con Il grande bianco presentato al Valli di Reggio Emilia, in una mia più ampia riflessione sul periodo attorno alla Grande Guerra. Lo studio di questi primi due decenni del secolo scorso è fondamentale per riflettere sul presente. Il nostro 2014 non è poi tanto lontano dal 1914, basti pensare alla progressiva frammentazione dell’Europa di oggi che paradossalmente si muove su vuoti slogan “unionisti” mentre al suo interno lo sgretolamento in micro-sta-ti è sempre più forte. Così come le guerre in corso: basti pensare a ciò che sta succedendo alla frontiera tra Ucraina e Russia (de facto in guerra), in una fantastoria che avrebbe affascinato Philip K. Dick. Infine, il 16 gennaio ci sarà la presentazione di Dylan Delay al Rialto di Roma, e fino alla fine del mese sarà in corso la mostra Glitch presso il PAC di Milano, dedicata al rapporto tra arte e cinema in Italia. Lì è in visione il mio film EMN40, all’interno del quale la musica è basata sulla “ricomposizione” del catalogo di registrazioni dell’ensemble Musiques Nouvelles, mentre le immagini sono state girate in viaggio nel deserto tra Arizona e New Mexico».