Making Douala 2007-2017

Chiara Somajni, Iolanda Pensa
Doppiozero
14 Luglio 2017

Una piccola costruzione su tre piani, calpestabile, delimitata da file di pianticelle che si rincorrono lungo le balaustre, nutrite da un sistema di irrigazione che distribuisce capillarmente l’acqua piovana. Ogni goccia prima di raggiungere la terra del vaso picchia contro un elemento in metallo e produce una nota, creando un coro di tintinnii delicato e squillante. Le Jardin Sonore de Bonamouti di Lucas Grandin si erge poco più in alto del fiume Wouri a Douala, grande città del Camerun. Intorno, un prato, finalmente pulito. Quando l’artista è arrivato nel quartiere, nel 2010, qui c’era una discarica. Convincere gli abitanti a ripulire il terrazzamento affacciato sull’acqua, in una posizione che prometteva di essere alquanto suggestiva, non è stato facile: Grandin si è rimboccato le maniche e ha cominciato a rimuovere montagne di copertoni, plastiche, spazzatura, da solo. Qualcuno pian piano lo ha affiancato.
Riconoscere che uno spazio abbandonato possa diventare spazio condiviso è un salto logico niente affatto scontato in un contesto come Douala, dove larga parte della popolazione vive in insediamenti informali dove mancano strade e spazi di convivialità. Magari si risiede nel quartiere da decenni, ma senza che ancora sia stata riconosciuta la legittimità a occupare il terreno. Al termine del periodo coloniale la proprietà della terra è infatti diventata oggetto di inifiti contenziosi tra Stato, proprietari storici e nuovi imprenditori. Conseguentemente il rischio per le comunità più povere di essere allontanate con la forza da un giorno all’altro è tangibile e permanente. I servizi, se ci sono, sono carenti. Le piogge ciclicamente provocano inondazioni. Neppure la polizia interviene quando chiamata, lasciando le famiglie in balia di gang e banditi. E qui, dove la popolazione vive in condizioni di miseria estrema, basta il furto di piccole cose per mandare a gambe all’aria la fragile economia di un’intera famiglia.
A distanza di sette anni la discarica non si è più formata. Il Giardino sonoro è frequentato la mattina dai pescatori, verso sera dai ragazzi, che si danno appuntamento per un po’ d’ombra e per godere della vista sul fiume e del suono dolce delle gocce d’acqua. Qui è nato per davvero uno spazio pubblico, propriamente condiviso dagli abitanti che oggi se ne prendono cura.
L’installazione di Lucas Grandin è stata realizzata nell’ambito di SUD – Salon Urbain de Douala, manifestazione che ogni tre anni porta artisti camerunensi e internazionali nei quartieri più degradati della città di Douala perché producano opere d’arte pubblica, alla cui inaugurazione per una settimana si affiancano concerti, spettacoli, proiezioni, conferenze. Il festival è curato dal centro d’arte doual’art, fondato a Douala da Didier Schaub e Marilyn Douala Manga Bell 25 anni fa, in collaborazione con ICU art projects &Lucas Grandin. Le opere d’arte pubblica vengono in genere sviluppate dopo un periodo di residenza degli artisti nei quartieri cui sono destinate; sono il frutto di interazioni e di negoziazioni complesse: solo così è possibile creare le premesse per interventi che abbiano un senso per la comunità, e che di fatto la trasformino.
Laddove la proprietà dei terreni non è chiara, e in assenza di strutture sociali e di rappresentanza cui riferirsi, gli artisti, con il supporto di doual’art, per poter operare devono avviare negoziazioni complesse, un processo partecipativo che catalizza una nuova percezione di sé della comunità e dei propri interessi condivisi. In alcuni casi gli effetti sono duraturi e hanno un impatto strutturante, inducendo la popolazione a organizzarsi. Così nel quartiere di Bessengué, in seguito alla produzione di workshop, una fontana, un ponte, una stazione radio, un gruppo di persone ha preso l’iniziativa, si è rivolta alla Banca Mondiale e ha ottenuto dei finanziamenti.
L’esperienza di SUD è oggi raccontata in una mostra, in corso fino 9 luglio alla galleria Ausstellungsraum Klingental di Basilea. Curata da doual’art, ICU art projects & Lucas Grandin e dalla Scuola universitaria professionale della Svizzera Italiana (SUPSI), con il supporto del programma Agora del Fondo nazionale svizzero per la ricerca, “Making Douala 2007-2017” anticipa anche i progetti che verranno presentati nel corso della prossima edizione della triennale, in programma dal 5 al 10 dicembre di quest’anno. È un’esposizione documentale, con modellini, video, poster, schizzi e fotografie delle opere d’arte pubblica realizzati a Douala. L’allestimento porta nell’ordinatissima Basilea un frammento della vitalità caotica di Douala. Fa così anche attraverso un nuovo lavoro dell’artista italiano Roberto Paci Dalò che propone l’installazione Douala Flow: una rappresentazione visiva di come evolva nel tempo il rapporto tra le attività imprenditoriali e culturali presenti nella città fisica e la loro rappresentazione online (la cultura orale è ancora oggi dominante in Camerun), con il commento sonoro di voci prese da stazioni radio di Douala e dalle interviste raccolte nell’ambito della ricerca cui Paci Dalò si è ispirato.
Oltre a documentare le opere, “Making Douala 2007-2017”, mostra itinerante via via aggiornata, riassume infatti in questa nuova edizione anche i risultati di un progetto di ricerca avviato dalla Fondazione lettera27 e capeggiato dalla SUPSI, che della straordinaria esperienza di Douala (un unicum, e non solo in Africa, per longevità, sistematicità, ampiezza e qualità degli interventi) indaga sull’impatto in termini di sicurezza. Si è soliti misurare la sicurezza avvalendosi di indicatori legati alla criminalità. Mobile Access to Knowledge: Culture and Safety in Africa. Documenting and assessing the impact of public art and cultural events on urban safety (che ha interessato anche le esperienze, di natura assai diversa, di Luanda in Angola e Johannesburg in Sudafrica) riformula invece il tema della sicurezza in maniera nuova, considerando anche fattori legati alla vivibilità, alla coesione sociale e alla convivenza civile: uno spazio pubblico curato, di cui i residenti sentano la ownership e in cui si riconoscano, è di fatto uno spazio pubblico più sicuro.
In questo senso l’impatto di SUD, e più in generale dell’opera condotta dal centro d’arte doual’art a Douala fin dagli anni Novanta, è stato notevole. Con il coinvolgimento di artisti sono state prodotte opere monumentali, opere strutturali-funzionali (come fontane, pozzi, ponticelli), opere di carattere più poetico-decorativo. La proprietà dei terreni è risultata variabile significativa per prevedere la reazione agli interventi artistici da parte della cittadinanza: così emerge che le opere inserite in contesti aperti, slegati dalla cornice abitativa come le rotonde o le piazze, sono percepite come statement governativi e più facilmente soggette a contestazione. È stato questo il caso di due notevoli sculture monumentali: La Nouvelle Liberté di Joseph-Francis Sumégné, imponente e grottesca scultura dalle sembianze umane, realizzata con materiale metallico di scarto, che nonostante l’accoglienza inizialmente negativa è oggi assurta a simbolo della città di Douala; e La Colonne Pascale di Pascale Marthine Tayou, altissima, sottilissima colonna composta da pentole impilate una sull’altra. Un delicato, gioioso omaggio alla donna nelle intenzioni dell’artista, di grande capacità evocativa per i visitatori, la realizzazione della quale ha però suscitato una forte polemica tra gli abitanti che si sono sentiti offesi dalle autorità (nonostante la produzione di quest’opera come di quella di Sumégné fosse da attribuirsi a doual’art), in quanto hanno visto nella Colonne una rappresentazione della loro condizione di fame perenne.
Un’altra categoria di opere ampiamente presente a Douala è quella degli interventi strutturali, a servizio del quartiere, posizionati in prossimità delle comunità emarginate. Di questi gli abitanti apprezzano la funzionalità, a prescindere dal loro valore artistico, non necessariamente riconosciuto. Oltre a risolvere problemi pratici, il loro apporto è risultato rilevante anche in termini sociali, perché trasmettono un senso di cura dello spazio pubblico che favorisce il benessere e quindi (nella lettura della ricerca) di sicurezza. Ne sono esempio La passerelle de Bessengué di Alioum Moussa, che con un ponte collega due quartieri; La Borne Fontaine, dell’architetto camerunense Danièle Diwouta Kotto, che fornisce accesso pubblico ad acqua pulita; o ancora New Walk Ways in New Bell, pannelli in legno che Kamiel Verschuren ha collocato a copertura delle canaline della fogna, con scritte dedicate all’acqua, risorsa e minaccia onnipresente a Douala.
Le opere nei luoghi di passaggio dall’evidente valenza estetica sono quelle che maggiormente influiscono in termini identitari, di orgoglio, di senso di appartenenza. Hanno carattere poetico, rendono omaggio agli abitanti di un quartiere. Così per esempio Les Mots Écrits de New-Bell di Hervé Yamguen, scritte in neon che riproducono versi sviluppati con il coinvolgimento di rapper locali, o il giardino festosamente selvaggio dipinto da Tracey Rose nella corte di una scuola (Oasis).
La qualità artistica delle opere, documentata nel dettaglio dal catalogo ragionato che accompagna la mostra (Public Art in Africa, a cura di Iolanda Pensa, Metis Presses 2017: comprende anche una serie di saggi su carta e online prodotti nell’ambito della ricerca della SUPSI) è rimarchevole. Ma certo più ancora colpisce lo straordinario impatto che l’attività di doual’art e la triennale SUD hanno sulla città e i suoi abitanti. Un processo di integrazione, di legittimazione, di restituzione di dignità alla popolazione più emarginata da cui tanti possono imparare, in Africa ma anche nei quartieri degradati dell’Occidente. Riassume bene un insegnante di Douala: «Çaréveille!», l’arte pubblica risveglia.