Crown: suoni e parole in diretta radio. Intervista a Roberto Paci Dalò

Claudia Giraud
Artribune
18 Aprile 2020

Usmaradio e Radio Papesse hanno unito le forze per dare forma a un programma radiofonico nato durante il lockdown, su iniziativa di Roberto Paci Dalò. Ne abbiamo parlato con lui.

Un progetto radiofonico di 30 performance in 30 giorni con un ospite in remoto. Ne abbiamo parlato con suo ideatore, il musicista e artista visivo Roberto Paci Dalò, pronto a ricominciare con un nuovo ciclo.

Sei un musicista e artista visivo abituato a frequentare radio, arte e internet. Come nasce il progetto Crown? Da quali opportunità, necessità e con quali obiettivi?
Crown è nato in tempo reale appena è stata diffusa la prima informazione riguardante il lockdown. Nell’arco di una giornata abbiamo disegnato – io, Alessandro Renzi (station manager di Usmaradio) e Carola Haupt / Ilaria Gadenz di Radio Papesse – il progetto che è stato avviato il giorno seguente. Giorno per giorno, appena disegnato il programma per il pomeriggio successivo, annunciando l’artista ospite nella mattinata stessa di performance, e facendo quindi tutto il lavoro di comunicazione molto rapidamente. Il segnale di Usmaradio è stato ripreso e ridiffuso in diretta da Radio Papesse e in un episodio si è anche aggiunta bauhaus.fm (la radio del Bauhaus di Weimar con la quale collaboriamo). Il lockdown quindi come possibilità di muoversi nello spazio, nell’etere e di essere ovunque grazie alla connessione.
C’è qualche modello al quale ti sei ispirato?
Nulla nasce nel vuoto ed è per questo che voglio menzionare The Art of Being Everywhere e i progetti di arte e telecomunicazioni dell’artista canadese Robert Adrian avviati nel 1979 con presenze anche alla Biennale di Venezia. Considero Robert Adrian uno dei miei maestri avendo avuto la possibilità di trascorrere molto tempo insieme nel suo studio nella Wiednerhauptstrasse di Vienna e condividendo tanti progetti di arte e telematica realizzati dal 1990 in poi – spesso insieme ad Ars Electronica – e mostre (la sua retrospettiva alla Kunsthalle di Vienna per la quale ho creato un film) e di prossima pubblicazione l’opera visiva e sonora Long Night Talks. Adrian è una figura di riferimento per lo sviluppo delle metodologie di Usmaradio (la radio dell’Università degli Studi della Repubblica di San Marino) come anche per tutto il movimento internazionale di radio e sound art di questi ultimi trent’anni che spesso ha tra i luoghi catalizzatori i programmi radiofonici Audiobox (RAI) e Kunstradio (ORF). Il progetto Crown è da guardare anche come memoria condivisa di progetti telematici e radiofonici creati globalmente dai primi Anni Ottanta da un manipolo di artisti, programmatori, ingegneri, radio artist insieme a radio nazionali, musei, gallerie d’arte, strutture indipendenti. Progetti che costituiscono l’ossatura delle pratiche di Usmaradio e che mirano a portarle dall’eccezionalità (l’evento unico, il festival) alla sfida più grande: la quotidianità. Cosa succede quindi quando nel quotidiano si pratica e si vive l’esperienza della connessione in remoto? Usmaradio fin dalla sua nascita lavora su queste pratiche, ma evidentemente questo era il periodo appropriato per un progetto come questo.
Finora hai realizzato 30 performance radiofoniche in 30 giorni. Com’è andata?
Le trenta performance realizzate tra marzo e aprile hanno visto la creazione ogni giorno di un nuovo progetto da casa a casa collegando la regia temporanea di Usmaradio – a Giardini Pensili, sulle colline di Rimini – con un posto diverso del mondo tra metropoli, città e luoghi rurali. Los Angeles, Vancouver, Zminj Istria, Vienna, Berlino, Città del Messico, Torino, Napoli, Venezia, Montagnana Val di Pesa, Weimar, Napoli, Roma e altri. È andata molto bene a fronte di un lavoro quotidiano di circa 10 ore. Abbastanza impegnativo anche perché ho voluto studiare il lavoro di ogni singolo artista per potermici relazionare – eseguendo la performance insieme – in maniera non estemporanea. Certamente un lavoro come questo si è potuto attivare grazie alla straordinarietà di questo periodo; difficilmente in condizioni “normali” ci si sarebbe potuto permettere il lusso di dedicare un intero mese, e a tempo pieno, a un unico progetto.
Quali sono stati i punti di forza e quali le cose da migliorare?
Come sovente accade è in tempo di crisi che possono nascere cose innovative. Da migliorare la parte tecnologica per far sì che gli artisti abbiano più consapevolezza di quanto si possa fare anche con strumenti “semplici” come uno smartphone o un laptop. Poi serve un ulteriore livello di consapevolezza per quanto riguarda la considerazione data al medium suono nel mondo dell’arte contemporanea. Altro aspetto riguarda il rapporto tra suono e parola poiché si è un po’ smarrita la memoria di tante opere del secolo scorso che andrebbero riascoltate. C’è da dire che tutti i partecipanti hanno reagito con entusiasmo al progetto confrontandosi con linguaggi che talvolta non conoscevano.
In che modo sono stati scelti gli artisti da coinvolgere? C’è stato un filo conduttore che ha legato tra loro le varie performance?
Molti artisti sono stati scelti, alcuni si sono proposti. Con alcuni di loro c’è un rapporto di lunga data mentre di altri non conosco nemmeno la voce poiché ci siamo parlati in chat (magari la notte precedente alla performance). Un filo conduttore è stato spostare l’ovvietà della diretta simil televisiva, tanto in voga in questo periodo, nel mondo del suono e della radiofonia. Ciò ha significato per gli artisti confrontarsi con un medium in grado di produrre immagini infinite nella testa degli ascoltatori. Un altro filo conduttore è sicuramente l’utilizzo del live electronics.
Il ciclo di performance radio ha avuto anche un risvolto didattico con la Scuola di Radiofonia. Ce lo puoi raccontare?
La componente didattica radiofonica ha soprattutto lavorato sulle tecnologie e sui sistemi hardware e software usati dai partecipanti. Insieme a questa c’è stata un riflessione sulla teoria e la pratica della radio. Per coloro che hanno usato dei testi, la riflessione si allargava al radiodramma dal vivo. Un esempio per tutto il ciclo è stato Orson Welles con i 22 episodi del suo Mercury Theater on the Air trasmessi in diretta dall’11 luglio al 4 dicembre 1938 (il mitico La guerra dei mondi faceva parte di questa serie). Con ogni artista coinvolto abbiamo individuato la tecnologia più opportuna e con ognuno di loro abbiamo dedicato talvolta molto tempo a test tecnici e prove artistiche che iniziavano il giorno precedente alla performance. Possiamo dire che nell’arco del ciclo è stata raggiunta una alfabetizzazione di base per tutti gli artisti. So che alcuni di loro stanno già pensando a nuove progettazioni personali basate su radiofonia, suono e sound art e questo mi sembra un risultato fantastico che va al di là delle nostre aspettative. La Scuola di Radiofonia / The School of Radio è unica in Europa e dal 2017 ha una casa a San Marino presso UNIRSM e Usmaradio.
Crown continuerà?
Si è concluso il primo ciclo che abbiamo voluto “massimale” e ora stiamo per riprendere con cadenza settimanale. Mentre il formato del primo Crown era di circa 30 minuti a performance, ora l’intenzione è di esplorare la durata con performance estese fino a 3 ore. Vogliamo approfittare al meglio di questo periodo per lavorare sulla percezione “estesa” di coloro che ascoltano. Con alcuni artisti del primo ciclo abbiamo già messo in cantiere nuovi progetti e ora stiamo studiando dal punto di vista curatoriale prossimi contributi, nuovi ospiti e formati. Nel frattempo abbiamo ricevuto da un editore che stimiamo molto un invito per realizzare un’edizione (cartacea e audio) a documentazione integrale del ciclo.
Che tipo di sviluppi avrà?
In un progetto come questo, come in tutti i progetti collaborativi che abbiamo realizzato in questi decenni, la collaborazione più importante è quella con e tra gli artisti. Senza la loro infinita generosità tutto questo non potrebbe nemmeno essere sognato ma gli artisti, si sa, dovrebbero anche vivere del proprio lavoro. È per questo che in questi giorni, in seguito all’esperienza di Crown, sto pensando alla creazione di un network di spazi d’arte e di radio che possano investire una piccola cifra ciascuno per garantire la realizzazione di un ciclo di performance e potendo dare un compenso agli artisti che presenterebbero più performance. Se dovesse funzionare come auspico, significherebbe per gli artisti una decorosa cifra a fine mese e ciò potrebbe forse interessare sia gli artisti, sia le strutture che avrebbero quindi una vera programmazione fatta di opere originali con costi estremamente contenuti.
Cosa pensi del febbrile attivismo sul web da parte dei musicisti con concerti in diretta a tutte le ore, lezioni di chitarra o composizioni di canzoni ad hoc? Nick Cave, per esempio, si è opposto a tutto questo invitando a fare un passo indietro e a sfruttare questo momento per riflettere e non per creare qualcosa a tutti i costi…
Sono d’accordo con Nick Cave. Seppur comprensibile data la situazione, trovo che una iper esposizione da parte degli artisti sia controproducente. Non trovo particolarmente interessante “aprire la diretta” su un social qualsiasi pur di esserci. Mi piace quando si riflette per poi creare qualcosa che non potrebbe esistere senza queste tecnologie della connessione e della trasmissione (e anche dell’assenza di pubblico in sala). Penso al sublime concerto del 10 aprile scorso in diretta da Lipsia con la Passione secondo Giovanni (BWV 245) di J.S. Bach. Nel programma di sala (che contiene anche estratti della partitura per unirsi da casa al coro) si spiega di cosa si tratta e al concerto vero e proprio si aggiungono alcune azioni. Come esempio negativo cito solo Andrea Bocelli dal Duomo di Milano un paio di giorni dopo. Vorrei poi ricordare che per una radio come Usmaradio la diretta è una cosa normale, fa parte della sua metodologia. Solitamente non facciamo dirette video focalizzando tutta l’attenzione sul suono, che è l’asse portante