2011, il Galli torna a “respirare”

Vera Bessone
Corriere Romagna
2 Novembre 2011

Nel teatro bombardato è andato in scena il “De bello Gallico – Enklave Rimini” voluto dal Comune: Gnassi e Pulini si dicono entusiasti.
L’emozionante spettacolo di Paci Datò ha meriti che vanno oltre quelli artistici

Rimini. Simbolicamente, è il sindaco ad aprire il portone del teatro Galli. Andrea Gnassi è accanto all’assessore Massimo Pulini e accoglie i riminesi che varcano la soglia incuriositi. È la notte di “De bello Gallico”, e si torna indietro al 1947. Roberto Paci Dalò, artista cui è difficile dare una definizione, e quella di “musicista” senz’altro gli va stretta, ha messo insieme un gruppo di talenti locali, ma solo per nascita, e ha creato un piccolo evento attorno al racconto di una Rimini che quasi nessuno ricorda: quella che – magari poco volentieri – nel dopoguerra accolse ben 150mila prigionieri tedeschi in quell’Enklave comandata dagli inglesi che era in realtà una città nella città.
Due giorni, tre repliche a sera, seicento e più spettatori (tra cui anche il presidente della Fondazione Carini, Massimo Pasquinelli, e la stilista Alberta Ferretti, giusto per citarne due tra tanti). Si entra quasi con timore nella sala delle colonne, una musica di sottofondo, la luce viola che avvolge gli stucchi e porta alla scala. Fuori è Halloween. e i petardi dei bambini evocano le bombe; dentro, il teatro bombardato respira.
Un respiro quasi sospeso accomuna gli spettatori mentre aspettano di scoprire che cosa è rimasto del Galli: tanti lo hanno frequentato qualche decennio fa come palestra, e in alto, appesi al traliccio, i fari sono muta testimonianza di partite di basket o pallamano. C’è la grande vetrata che pare un timpano sulla facciata posteriore, c’è un vuoto che si immaginava più grande e che presto verrà riempito. Sopra, dove un tempo i signori si sporgevano dai palchi, restano le orme delle porte, come tante finestre che si aprono sul vuoto. In tanti dicono provocatoriamente: è un luogo magico e bellissimo, perché non lo lasciamo così? In fondo l’arte, come dimostra “De bello Gallico”, non ha bisogno di palchi e stucchi, quelli servono agli spettatori, ma non stanotte.
È una bella notte per Rimini, e c’è spazio per tutti. Anche per chi vorrebbe tornare a chiamare il teatro “Vittorio Emanuele II”, dato che Amintore Galli era di Talamello e il nome al re fu tolto nel 1947 «per rancorose ragioni politiche».
In scena (se scena si può chiamare, qualche metro più sotto, la “trincea” di mura romane e cisterne medievali verso cui il pubblico si protende là dove c’era il palco) una cantante dalla voce incantata come Luisa Cottifogli e una clavicembalista fuori dal tempo, Chiara Cattani, che a un tratto indossa una testa d’orso. L’ultimo concerto all’Enklave Rimini risuona di evocazioni barocche (John Dowland) e sperimentazioni contemporanee (i Coil). Fuori scena, alla consolle posta a un lato della “platea”, oltre a Dalò ci sono il filmmmaker Davide Montecchi, che ha creato i suggestivi contenuti video a partire da materiali d’archivio, e Arnaldo Ciavatta (Alterecho) che si è occupato delle stupefacenti luci. Ma vanno citati anche i costumi di Patrizio Piscaglia (Messagerie), i testi dello scrittore Gabriele Frasca e la fondamentale ricerca storica di Alessandro Agnoletti.
Dice il sindaco Gnassi, entusiasta, raccontando anche le perplessità raccolte in Comune quando si iniziò a parlare di questo progetto: «La cosa bella è che nessuno e rimasto indenne. È successo qualcosa, c’è stato uno scuotimento… abbiamo reso l’idea di un teatro instabile, nel cantiere dove scorre una storia di duemila anni che si interrompe con la guerra. Ma oggi questa storia interrotta permette ai riminesi di riappropriarsi del teatro, proprio nel momento in cui abbiamo deciso di ricostruirlo». «È un tentativo di restituire la conoscenza – dice l’assessore Pulini , di uscire dal cono d’ombra, riaprire una ferita, vedere la stratificazione della storia e fornire uno squarcio evocativo che possa dare il viatico a futuri interventi».
Affrontando la precarietà: così il teatro-cantiere potrà ancora tornare a respirare anche se non terminato.
Il finale è un soffio di speranza e insieme una terribile denuncia dei lunghi anni di abbandono: dal nulla compaiono i volti degli spettatori degli anni Venti rivolti verso il palco, e, in un ideale passaggio di consegne, sembrano guardare dritti negli occhi gli spettatori del 2011. È il respiro del teatro, adesso si sente distintamente.